Ieri sera mi sono ritrovato, come spesso mi accade, nell’insolubile dilemma riguardante l’argomento per l’articolo di oggi. Essendo l’ambientazione dei miei dubbi un pub, e avendo come spettatori del mio muto dissidio interiore un paio di amici, decido infine di esternare i miei pensieri per chiedere loro un parere: “Per domani mi piacerebbe parlare della questione di Bolsonaro e Battisti, ma non so se avrei la lucidità per farlo prima di un esame.”
Un risolino accompagna la chiusura della mia frase, tanto da provocare in me un lieve moto di stizza: “Perché, te ci riusciresti a farlo domani mattina?”, chiedo.
“Non è quello, è che se io fossi in te per un po’ eviterei proprio di scrivere…”.
Il punto interrogativo apparso a mezz’aria sulla mia testa era visibile anche dallo spazio, tanto da fargli immediatamente aggiungere, facendomi il verso: “Se io avrei…”
Davanti ai miei occhi sono apparse in sovrimpressione le parole di Luigi Cecchi, meglio conosciuto come Bigio, il geniale autore del fumetto Drizzit, scritte appena due giorni prima: “Lo sconvolgimento tangibile sul volto di chi ha studiato grammatica sui meme ogni volta che faccio notare che “se io avrei”, in italiano, è corretto.“
Quello sconvolgimento, difatti, lo ebbi davanti a me non appena ebbi finito di spiegare quanto segue.
“Se io avrei” o, più in generale, la costruzione “Se + condizionale” non sempre è un catastrofico strafalcione come spesso viene considerato. Certamente è un errore da penna rossa – ma anche da revoca della cittadinanza italiana, direi – se utilizzato in un periodo ipotetico: un abominio simile a “Se io avrei più tempo potrei uscire di più” è decisamente inaccettabile. Nella costruzione del periodo ipotetico dell’irrealtà la protasi richiede sempre il congiuntivo, mentre il condizionale si usa nell’apodosi. Solo e soltanto nel suddetto caso “se + condizionale” è da considerarsi errato.
Se invece si tratta di una frase interrogativa indiretta allora è perfettamente corretto! Sì, avete letto bene: corretto! Riprendiamo la mia frase iniziale, e trasformiamola in una domanda diretta: “Avrei la lucidità per farlo prima di un esame? Non so.”
Un ulteriore esempio si può ottenere tramite un altro ribaltamento, trasformando la frase da negativa a positiva: il “se” di “Non so se avrei…” nient’altro è che il sostituito del “che” di “So che non avrei…”
Insomma, come sempre internet si dimostra un’incommensurabile fonte di sapere, ma solo se si guarda alla pluralità e all’autorevolezza delle fonti: i curricula dei linguisti laureati all’Università dei meme valgono poco.
SITOGRAFIA:
Lei scrive: “Certamente è un errore da penna rossa – ma anche da revoca della cittadinanza italiana, direi – se utilizzato in un periodo ipotetico:”
Condivido solo parzialmente. È vero che la “norma dotta” prevede il congiuntivo nella protasi delle ipotetiche della possibilità e dell’irrealtà, ma osservo anche che il parlante che usi il condizionale lo fa perché indotto da una logica forte: “se” introduce in effetti una condizione e il parlante (forse ignorante, ma anche solo semplicemente distratto) usa logicamente il condizionale!
Un errore “italianissimo” quindi. Se poi lo facesse un bambino a scuola, dovrebbe essere l’occasione per ragionare sulla “norma dotta” e non per stigmatizzare. Nessuna revoca della cittadinanza.
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